L’Airone

L’AIRONE

Il sole iniziò a tramontare alla sua sinistra, scese rapido dietro le colline. A destra sorse la luna, i contorni offuscati dalla nebbia che saliva dai boschi di querce. Lui correva sul sentiero lungo il fiume. Intorno a sé prati ancora verdi, boschi, orti coltivati dagli anziani. Lungo la striscia grigia dell’asfalto non c’era nessuno. Al suo fianco lei andava veloce e lui faticò a tenere il suo passo, sorpreso da quella sua falcata leggera, compatta. La guardò, sorridendo. Lei, concentrata nello sforzo, ad un certo punto avvertì il suo sguardo, si girò verso di lui e l’espressione seria si trasformò in un sorriso aperto, era pura luce. Dietro la testa crespa di lei apparì la punta della luna, tonda e gelida. Il loro passo fu ovattato e amplificato dal silenzio tutto intorno. Solo lo scorrere placido del fiume ogni tanto si ruppe e diventò un ruggito nello scontro con le rocce e i tronchi caduti dalle sponde ripide.

La corsa diventò sincrona e lui, ritrovato il passo, riuscì a stare al ritmo della donna. 

La scrutò e pensò come fosse bello averla vicino e poter correre insieme. 

Era buio anche quella sera di sei mesi prima, lui correva in un sentiero vicino al mare, affrontava la curva verso il piccolo bosco di cui aveva scritto e che li aveva fatti conoscere in rete, due sconosciuti che vivevano lontani l’uno dall’altra. Perso nei suoi pensieri affondava il passo nella terra e all’improvviso sentì un respiro al suo fianco e percepì l’immagine di lei che correva al suo fianco e gli sorrideva. Un attimo dopo la visione svanì e lui si ritrovò da solo nella nebbia che iniziava a salire dalla terra calda. Affiancò l’invaso d’acqua vicino al bosco e lo scorse, bianco, enorme, il collo lungo. Rallentò e vide che l’animale si mise in posizione, elegante e sfrontato. Si osservarono a lungo e poi volò via.

Lei, mentre l’uomo era perso nel ricordo, aveva preso velocità e lo distanziò. 

Gli passò nella mente, per un attimo, l’idea di perderla. Il passo si spezzò, rallentò, si accorse del fiato che veniva meno e poi si bloccava. Si piegò sulle gambe e si ritrovò, inconsapevole, a singhiozzare. Le lacrime colavano sulle guance e gocciolavano per terra. Lei si fermò, corse da lui, si inginocchiò al suo fianco e lo abbracciò forte, senza dire nulla. Si asciugò gli occhi, imbarazzato. Le disse di non preoccuparsi e ricominciò a correre, terrorizzato da quell’immagine di un futuro senza di lei.

Accelerò il passo nel tentativo di scaricare sul terreno umido la paura. Lei reggeva tranquillamente la velocità senza mostrare alcuno sforzo. 

Arrivarono alla fine del rettilineo, gli ultimi orti erano intorno a loro, intravidero la chiesa campestre, la affiancarono, lei gli raccontò dell’allagamento per la piena del fiume, che ora scorreva placido. Fu in quel momento che lo vide sulla sponda, enorme, bianco, elegante. Si osservarono, l’animale si mise in posizione per farsi ammirare nella sua bellezza glaciale. L’uomo rallentò e continuarono a scrutarsi, poi l’uccello scomparve veloce nell’erba alta. Restò colpito e sorpreso. 

Lui vide che il sentiero virava verso il sottopasso della ferrovia. Sentì in lontananza il rumore di un treno. La affrontarono superando un gruppo di vecchietti che parlavano ad alta voce gesticolando animatamente. Piegarono per l’altra curva a sinistra e si trovarono davanti il marito della donna che stava correndo nel senso opposto. Lei aveva detto che utilizzava un altro sentiero. L’uomo, sudato e un po’ sovrappeso, la salutò sorpreso di trovarsela di fronte. Lei ruppe il ritmo, decelerò, confusa guardò la nuca di lui che continuò la corsa, il viso le si frantumò nella disperazione. Lui, facendo finta di non conoscerla, continuò a correre con il viso congelato in una maschera rigida. Sentì la voce di lei che sfumava nella distanza. 

Accelerò, guardò il fiume velato dalle lacrime e volò via.

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