Erano le dieci di sera. Troppo tardi per mangiare, mi sarebbe rimasto il cibo sullo stomaco, qualunque cosa avessi ingoiato. Avevo cucinato il pollo al forno con le patate e mentre cuoceva nel forno a 240° avevo messo sul fuoco un po’ d’acqua, in una pentola piccola, e cucinato un pugno di spaghetti da unire ai broccoli e guanciale: il pranzo del giorno dopo. Il profumo del pollo rosolato aveva invaso la piccola cucina. Nonostante ci fosse un vento teso di tramontana avevo aperto la finestra e alzato la tapparella per rinfrescare l’aria rovente nella stanza. Mescolavo, irroravo, predisponevo perché dovevo comunque andare a prendere il ragazzo al palazzetto dopo l’allenamento. Mi muovevo con gesti consolidati, automatismi acquisiti nel tempo e con la solita fretta multitasking che mi faceva percepire lampi di vitalità e scivolare via i pensieri. Guardavo ciò che avevo davanti e con la coda dell’occhio osservavo la carne nel forno. Insomma, tutto era sotto controllo. Nella cucina. Nella mia testa, invece, c’era un rimescolio forsennato e fuori sincrono. Gli ingranaggi dei pensieri non convergevano e tutto sembrava portarmi verso uno sbiellamento che poteva creare danni rilevanti. Lei, sempre e solo lei nella mia testa. I suoi occhi che mi guardano, il profumo della sua pelle, l’odore del detersivo degli abiti che dal basso saliva verso di me. Sospesi i movimenti, gettai le pentole sui fuochi della cucina e mi voltai per afferrare il cellullare. Lo sbloccai con il dito, odiavo quel sensore laterale e mi chiesi, ancora una volta, il perché di una simile scelta, scomoda e pretenziosa. Guardai lo schermo. Niente. Non c’era nessun messaggio. Guardai l’ora. Erano passati 49 minuti senza un pensiero. Buttai con violenza il cellulare sul carrello, alzando con un gesto innaturale ed esagerato il braccio. Tornai alla cucina, appena in tempo per vedere l’acqua bollente della pasta esondare dalla pentole e con uno sbuffo di schiuma biancastra colare sul fornello e spegnere la fiamma. Borbottai una bestemmia che non coprì il ping del cellulare. Mi voltai e riafferrai il telefono. Sbloccai con l’impronta, ma perché questo sensore al lato?, e lessi. “Ti penso sempre”. Con un sorriso idiota infilai il cellulare dentro l’acqua bollente della pasta e rimestai con la cucchiaia di legno mentre riaccendevo la fiamma sotto la pentola.
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