Come si può spiegare quanto sia doloroso perdere uno sguardo? Come si fa a scrivere quanto fa male? Non è un dolore fisico. O forse c’è anche quello. Mi sbatto ma non riesco a trovare un modo per descriverlo.
Quello sguardo un tempo era un conforto e nei momenti difficili mi aiutava a capire quale fosse la strada giusta.
Ora quello sguardo sfugge, è svuotato, è distante, è assente. Le iridi sono fredde, hanno perso quel lampo che non aveva bisogno di parole.Girarsi e non trovarlo più mi scatena un’alveare nella testa. Ispira reazioni contrapposte: desiderio di vendetta, voglia di indifferenza, speranza di ripicca.
L’unica vera realtà è che resta un buco.
Un buco che non si può colmare.
La vendetta non ha più senso.
L’indifferenza non si può recitare.
La ripicca non ha sale.
Resterà a farmi compagnia solo un sentimento profondo, dagli spigoli pungenti che quando si muove dentro fa molto male. È un vento dalle raffiche violente e gelide che arrossa la pelle e fa scoppiare la testa.
E quando si placa il rombo delle folate resta un silenzio che sa di vuoto, che rimbomba, che acuisce il ronzio elettrico delle orecchie ferite e irritate.
In quel momento percepisco la realtà: ho perso qualcosa che non potrò più riavere.
È un pezzo di vita che va via. È un’emozione che sarà risucchiata dalla nebbia dei ricordi e che sbiadirà lentamente. È un buco. Punto.
E non resterà che comprendere l’impotenza, il non poter fare più nulla per riviverlo.
E’ perso quello sguardo. È smarrito. Non c’è più. È morto. Come un pezzo di me, caduto da qualche parte su un pavimento di pietra lavica nera. Non saprò mai quando l’ho smarrito e non saprò mai il perché.
E non trovo più pace.
È perso. Resta quella cosa irsuta dentro che assomiglia al dolore e che non so nemmeno se poterla chiamare così.
Non ci sono parole per raccontarla, per spiegarla. Non ci sono parole e basta.
Solo l’impotenza. Che si accompagna con un contorno amaro: la sua ineluttabilità.