La vita è cambiata. Era consapevole del perché, ma non aveva idea di dove stesse andando. Si sentiva come se fosse su una barca a vela immersa nella nebbia e in assenza di vento. Una bonaccia che lo stritolava, il silenzio ovattato e gonfio di aria umida, l’acqua immobile e liscia come l’olio, il lento scivolare della chiglia, il terrore del non sapere dove fosse e dove stesse andando.
I pensieri si inseguivano, si rincorrevano rumorosi dentro la testa. Era come se avesse un alveare il cui ronzio era amplificato dall’agghiacciante silenzio che lo circondava. L’uomo scosse la testa, si alzò e immerse il lungo bastone di metallo nell’acqua per sondarne la profondità. Lo spazio era sufficiente per andare avanti, ma la nebbia era fitta, una muraglia di cotone bianco. Decise di non rischiare e gettò l’ancora nell’acqua. Il grattare metallico della catena che scivolava nell’acqua si irradiò nell’aria e l’uomo percepì un eco lontano. Una volta terminata la corsa dell’ancora che si afferrò ala roccia sott’acqua, l’uomo si tolse il cappello e si grattò la testa, incerto e vagamente impaurito.
Si infilò nella cabina e decise di mettere sul fuoco il caffè. Si sedette sulla panca di legno e attese il fischio e il lento gorgogliare del liquido nero nel serbatoio della caffettiera. Ogni tanto gettava uno sguardo nell’oblò ma il muro bianco gelatinoso non si apriva, restava compatto e schiacciante. Si alzò e versò il caffè in una tazza larga. Si infilò il cappello bianco e tornò a poppa. Si sedette, incrociando le gambe, e sorseggiò lentamente il caffè cercando di aguzzare l’udito per afferrare un qualunque rumore che lo aiutasse a comprendere cosa ci fosse intorno a lui.
Ma il silenzio continuava ad essere profondo, totale, compatto. Il calore del liquido nero lo aiutò a rallentare il respiro. I pensieri, anch’essi, allentarono la presa e scivolarono lentamente in un dormiveglia tranquillo che lo riappacificarono con sé stesso.
Fu in quel momento, in quel preciso istante in cui pensò che la pace stesse emergendo dentro di sé, che invece la rabbia risalì, come un bolo acido che risaliva le pareti dell’esofago bruciando le mucose e aumentando la saliva nella sua bocca. Una rabbia sorda ma feroce che lo afferrò in breve tempo e lo terrorizzò. All’improvviso tutto si sistemò, come un puzzle inafferrabile, su cui lavorava da settimane, che da un momento all’altro fu capace di visualizzare, come un flash luminoso, nella sua completezza e fu in grado di sistemare tutti pezzi con ordine e lucidità. La rabbia gli apparve nella sua altrettanta nitidezza. Una rabbia che aveva volti, nomi, episodi e riflessioni amare.
L’uomo non ebbe bisogno di riflettere, di pensare, di ricostruire. No. Tutto si sistemò da solo. E lui si sentì, all’improvviso, smarrito. Perché i suoi dubbi scivolarono nella nebbia, si dissolsero nel cotone bagnato che lo circondava. E seppe cosa fare.
Girò la tazza nella mano per scuotere il caffè residuo. Lo guardò, come se cercasse qualche conferma nei fondi. Ma era rimasto solo un dito del liquido scuro. Portò la tazza alle labbra e bevve con uno scatto all’indietro della testa. Era ancora caldo e provò un sottile piacere nel sentirlo scendere nell’esofago, lenendo il bruciore che ancora avvertiva.
Chiuse gli occhi e le immagini apparvero. Il volto che si chinava su di lui, il cuore che batteva all’impazzata, il terrore che gli serrava la gola, le voci confuse e annebbiate intorno a sé, le luci accecanti dei monitor, il ricordo di una radio gracchiante che spargeva musica. Poi il buio. Totale. Nero. Il vuoto. E pensò per un attimo che quella dovesse essere la stessa sensazione della morte. La fine di tutto.
Sentì un vago calore sul volto. Aprì gli occhi. Un raggio pallido di sole aveva scalfito il muro bianco di panna. Sorrise. Si alzò e decise di ritirare l’ancora. La rabbia era dentro di sé, la sentiva, la conosceva. Non ne ebbe paura.
Andò al timone, alzò il viso verso il cielo. Annusò l’aria e aspettò il primo refolo di vento che si era infilato nella sottile crepa che il sole aveva aperto nella nebbia. L’acqua si mosse. Tirò sù le vele.
Era arrivato il momento di muoversi. Era il momento di rischiare una strada. Calcò il cappello sulla testa e riprese la navigazione, lentamente, con prudenza. Ma era ora di riprendere il cammino.