L’impulso fu quello di scappare, di andare via da lì il più velocemente possibile. Si alzò dalla sediolina arancione, sforzando le braccia e le gambe. Si drizzò stirando la schiena con le mani come se dovesse lisciare una maglia stropicciata e iniziò a camminare, dapprima lentamente, poi sempre più veloce.
Odiava la spiaggia, il chiasso, la musica pompata nelle casse nere con il segno delle mani sporche sui lati, l’ammasso di ombrelloni colorati senz’ordine, il miscuglio di odori improbabili delle creme e degli oli solari che si sedimentavano strato dopo strato sui profumi e sui deodoranti di cui le persone si riempivano prima di uscire da casa. Ancora peggio quando il profumo si fondeva con l’olezzo del sudore stantio.
E lui andava via, alla ricerca di un altro mare, di un altro luogo che gli ricordasse la solitudine in qualche modo. E il mare, nei suoi pensieri, era la solitudine. L’immagine della zattera solitaria che si innalzava sulle onde al largo non lo abbandonava mai.
Camminò lungo la battigia, infilando i piedi nella spuma ribollente dell’acqua tiepida che risaliva rabbiosa sulla sabbia. L’aria era calda ma il vento profumava dell’est. Era un grecale impregnato di rosmarino, di salvia selvatica, di mirto, di alghe verdi, di sale speziato. Lo sentiva scivolare sulla sua pelle calda, un brivido lungo la schiena, i pori pulsanti sotto i peli arricciati.
Il vociare, il pum-pum della musica iniziarono a sbiadire, sommersi dal lento e ritmico risalire della risacca. Le onde iniziarono a seguire un loro ritmo, lento e sincopato. Un rombo leggero che via via saliva di tono e acquistava autorevolezza, profumi, indipendenza.
Il mare restituisce ogni cosa. Questo pensò l’uomo guardando la spiaggia, in alto sulla sabbia rovente ammonticchiata alla sua sinistra. Vide uno spettacolo desolante, il simbolo plastico della distruzione indifferente, anzi della sadica violenza imposta alla natura dall’uomo. Montagne di plastica di ogni tipo e di ogni colore: bottiglie vuote e piene, cestini, cassette bianche e celesti, piatti spaccati, lattine di alluminio, bottiglie di vetro di vino e spumante, vestiti strappati, scarpe spaiate, sedie rotte. Una discarica a cielo aperto che si accumulava e che nessuno avrebbe ripulito. Chili di veleno che avrebbero impiegato decenni per sciogliersi e che avrebbero avvelenato il sottosuolo e le acque che scorrevano sotterranee alle rocce e alla crosta terrestre. La disattenzione di un attimo avrebbe condannato per anni la natura. Pensò per un attimo al battito della farfalla che avrebbe causato un terremoto a distanza di migliaia di chilometri. Scosse la testa, infastidito, e abbassò lo sguardo sulla sabbia.
Cercò con gli occhi tra i sassi, colpito dalla rotondità dei ciottoli, dall’assenza di qualsiasi punta che potesse fare del male. La forza del mare è cuore di bontà, arrotonda le punte, le modella, rende le forme morbide come le mani modellano la pasta del pane lavorandola lentamente ma con forza e determinazione. Una contrapposizione quasi violenta allo scempio che era lì, a due passi sulla sua sinistra.
Camminò a lungo percorrendo tutta la striscia della spiaggia, per chilometri. In fondo trovò l’ostacolo insormontabile di una roccia alta, grigia in cima e che poi scivolava verso strisce di rosso e di argilla grigio chiaro con punte di verde smeraldo. Si attardò ad ammirare la composizione di quella roccia, a cercare di intuirne la storia dalle mille striature ammonticchiate e sommate. Poi si girò e tornò indietro con un vago senso di sconfitta.
Inspirò con ingordigia l’aria che adesso gli batteva sul viso, infilò ancor più a fondo i piedi nell’acqua indifferente agli schizzi che riempirono di gocce gli occhi da sole. Anzi, si chinò sul verde trasparente e infilò le braccia nella frescura abbandonandosi al ritmo delle onde sempre più spumose e bianche, di un bianco immacolato.
Dopo vari minuti in cui abbandonò i pensieri alle sue spalle, come piccole pietre bianche lasciate cadere per tracciare una strada, un senso, una via a cui aggrapparsi per un possibile ritorno, iniziò ad incontrare altre persone che camminavano, o qualche bambino che si tuffava nell’acqua per giocare a palla. Infilate in qualche piccolo anfratto della falesia vide un paio di coppie che si baciavano o che si toccavano timidamente,
Infine arrivò di nuovo il suono distorto della musica pompata nelle casse alla base del lido, gli ombrelloni che nel frattempo si erano moltiplicati e accorpati in un’unica linea multicolore dalle punte tondeggianti, quasi fossero emblemi di una qualche religione pagana e consumista.
Con un sospiro arrivò alla sua piccola sdraia arancione, si girò e guardò intristito la lunga striscia della spiaggia alle sue spalle. Si sedette. E la vide scendere dalla scaletta di legno: alta, molto alta, con lunghi capelli biondi, il passo atletico, un costume molto ridotto giallo. Fu colpito dalla falcata lunga e morbida, dalla sicurezza dei movimenti, sciolti e che sprigionarono una tranquilla consapevolezza.
Scese sulla spiaggia, si guardò intorno spostando con un gesto delicato i capelli dietro il collo. L’uomo ebbe l’impressione che per un attimo lei lo guardasse. Poi, con la traccia di un sorriso sulle labbra, si avvicinò, aprì la sdraio, la sistemò sulla sabbia, ad un paio di metri dalle gambe dell’uomo, poggiò un lungo asciugamano e si sedette con una grazia che a lui parve infinita, come il suono delle onde sulla sabbia.
L’uomo fu colpito dal seno della donna: imperioso, immenso, dritto, con i capezzoli appuntiti che quasi foravano il costume. Lei girò il volto verso di lui e, ancora, di nuovo gli parve di intravedere un lieve sorriso su quelle labbra così piene e tonde. L’uomo iniziò ad agitarsi, non trovando una posizione sulla sdraio. Si spostò in continuazione, guardò preoccupato lo zainetto pensando di prendere il libro per tentare di leggere ed evitare l’imbarazzo che lo colse attimo dopo attimo.
E poi vide lei sciogliere la striscia dietro il collo del piccolo reggiseno giallo e lasciarla cadere ai lati dei seni. Colse il movimento del corpo che ancor più liberato si ergeva verso il cielo. Lei si piegò sulla borsa ed estrasse un libro, corposo. La donna bionda si sistemò con un ulteriore colpo morbido sulla sdraio, aprì il libro e iniziò a leggere, lasciando scivolare sulla sabbia, con un movimento elegante della mano, un lungo segnalibro.
L’uomo quasi strabuzzò gli occhi. Un libro! Bella e colta! Non poté resistere a lungo alla curiosità. Si alzò e, con indifferenza ostentata, si avvicinò alla donna, la superò e fece finta di osservare il mare al largo. Si girò e vide, gli occhi nascosti dietro i vetri scuri delle lenti, la copertina del libro. La donna stava leggendo “Grey”. La continuazione della trilogia delle “Cinquanta sfumature”.
Sospirò, guardò il seno perfetto su cui avrebbe tanto desiderato poggiare il viso, e andò via scuotendo la testa sconsolato. Riprese il cammino verso la roccia infondo alla spiaggia.