I due mondi e la trincea.

I due mondi. Il nuovo che arranca nel caldo torrido, nella siccità, nelle file chilometriche di macchine che si arroventano ferme in autostrada sotto il sole e lambite dalle fiamme che stanno distruggendo migliaia di ettari del patrimonio naturalistico italiano; il vecchio che nonostante l’aumento terribile delle temperature è immerso nell’aria fresca, sotto una pioggia che gela i pomeriggi e i fulmini che saettano nel cielo inerme arrabbiati di fronte allo sfacelo prodotto dall’uomo negli ultimi cinquant’anni e moltiplicati drammaticamente dalle scelte del pazzo che dimora nella casa bianca di Washington da qualche mese.

Dopo due anni sono di nuovo qui, sotto le cime del Brenta. Qui vicino un povero orso impaurito vaga per i boschi e attacca, per paura, un idraulico settantenne alle porte di Trento. Lo sguardo accarezza la superficie smeraldo del lago. Le montagne incombono scure di boschi e rocce arancioni sull’invaso. I sentieri si infilano e sembrano fili d’argento tra i capelli verdi degli abeti, dei tigli, delle conifere. Il vento batte forte e increspa l’acqua mentre qualche isolata canoa e pedalò disegnano strisce e rientrano velocemente.

Afferro il mio vecchio bastone la cui corteccia ho ripulito con un piccolo Opinel, l’unico oggetto affilato che abbia mai posseduto in vita mia. E’ un po’ incurvato perché in questi anni ha subito la nostalgia e la lontananza dalla sua terra, costretto a vivere in un ambiente che è ostile al verde. L’ho tirato fuori dall’auto e dopo averlo alzato al cielo, l’ho afferrato e ho iniziato a camminare, appoggiandomi a lui che a sua volta si infilava deciso nell’erba dei prati che circondano lo specchio d’acqua. Questa è casa sua, è qui che l’ho raccolto una mattina di quattro anni fa. Ed è qui che lui annusa l’aria fresca della sua terra, quella che l’ha accolto, l’ha aiutato a crescere e diventare nodoso e forte sino a quando è stato tagliato per lasciare lo spazio ad altri piccoli alberi affinché potessero crescere loro sani e forti. E’ una legge di natura in cui l’uomo, una volta tanto, l’aiuta a compiersi anziché a distruggerla.

Nel camminare il bastone resterà un po’ curvo ma tenterà di raddrizzarsi, per orgoglio ma anche perché l’aria buona lo aiuterà a ritrovare parte del suo antico vigore. Sono venuto per il silenzio. Sono stanco di parole, spesso ridondanti e inutili. Vorrei solo tornare ad ascoltare il respiro del vento fra le foglie, il rombo dei torrenti che scivolano giovani e potenti nelle anse del bosco, il cracchiare di qualche corvo incuriosito dall’uomo o che semplicemente gioca solitario tra gli alberi. Ma il tempo è cambiato anche qui. Sui sentieri sembra di camminare su una strada di città. Incrocio decine di persone che camminano veloci a testa bassa, che controllano con gli occhi gli smartwatch, che indossano indumenti  di materiale tecnico, molti che corrono come se fossero in una periferia di città. Incrocio solo qualche vecchio che cammina lentamente, con un bastone di legno anziché i moderni bastoni stroboscopici, che si ferma ad osservare in alto tra gli alberi e che, stanco, si lascia andare su una panchina di legno lungo il sentiero. Sono le stesse persone che con un sorriso salutano per primi e se ricevono una risposta annuiscono soddisfatti perché un piccolo gesto di cortesia è un pezzo di un mondo che va via ma che è la conferma che ha la pelle dura.

Camminando mi sento come se questo mondo fosse l’ultima trincea all’aggressione del denaro e della finanza. E’ un mondo in cui l’uomo non conta nulla e chi comanda è ancora la natura non asservita. E’ un mondo che combatte, che si difende con la forza estrema della natura e che ogni volta che si tenta di violentare restituisce il dolore subito con una forza sovrumana. E’ bene sempre ricordare la strage del Vajont e tutte le risposte che le montagne sanno dare all’ingordigia dell’uomo. Qui noi siamo formiche che devono rispettare un mondo che si è creato in millenni di spostamenti delle acque, delle placche terrestri, della migrazione delle acque e in cui l’uomo non può fare altro che osservare, rispettare, tutelare ed essere prudente.

Ma fino a quando?

Questa voce è stata pubblicata in Pensieri, Racconti, Resistenza. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.