“Non ti piace?”. La sua voce era limpida come gli occhi, un gocciolio di acqua fresca che mi provocò un brivido lungo e sottile.
Non risposi. Lottando contro il dolore cercai di ragionare. La guardai tranquillo e le sorrisi.
“Allora? Rispondi.” lei incalzò.
“Mi piace. Ma non da te e non qui.”
Lei si guardò intorno. “A loro piaceva molto” e fece un gesto con la mano verso i corpi riversi per terra.
Un sibilo crescente si alzò intorno a noi. Si stava alzando il vento mentre il buio iniziava a scendere. Alzai la testa e vidi larghe carrucole di metallo appese a binari appesi al soffitto e tenute da lunghe catene di metallo spesso che iniziarono ad ondeggiare come la testa pesante di un elefante.
Il suo viso si rabbuiò.
“Chi li ha uccisi?” le chiesi.
Abbassò la testa, si guardò ancora le mani aperte, poi, rialzando lo sguardo verso di me, sorrise di un sorriso cattivo. Non mi rispose.
“Perché eri in gabbia ieri notte?” le dissi.
“Mi tenevano chiusa lì dentro sempre, tranne quando dovevano darmi il latte.” e accompagnò la frase con un altro gesto della mano. Seguii il suo movimento e vidi il carro con la gabbia. Il cvallo era immobile in modo innaturale. Un mucchio di ossa che tremava al vento freddo che si infilava dalla porta spalancta dell’hangar.
Sentii il dolore della ragazza crescere, lo sentii dentro di me. Un dolore acuto, profondo, che tagliava la carne.
“Darti il latte?” le chiesi.
“Sì. Bevo solo latte non so più da quanto tempo.” E aprì le braccia mostrando il suo corpo magro, ossuto, senza muscoli. “Ma prima di darmelo dovevo succhiargli il cazzo. A ognuno di loro. E dopo aver bevuto il loro latte mi davano quello vero. All’inizio lo vomitavo. Dopo ho imparato a bere tutto. Altrimenti sarei morta!” e ancora sorrise. Vomitai una bile verdastra, voltandomi appena in tempo. “Mio Dio!” pensai.
“Non ti piace allora?” mi chiese ancora.
“No!” le urlai, non riuscendo più a controllarmi. “No!” e abbassai la voce. “Non mi può piacere uno schifo del genere.”
“Ti piacciono gli uomini?” e mi guardò maliziosa.
“No. Ma non violento le ragazzine. Quanti anni hai?”
Lei si riavviò ancora i capelli e scacciò il pensiero con un gesto della mano. “Non me lo ricordo più. Non lo so.”
“Come sono morti quei tre? Chi li ha uccisi? Liberami! Prima che ritorni, chiunque sia stato!”
Urlai. Dentro di me sapevo di sbagliare. Quella ragazzina aveva bisogno di altro che le urla di un altro uomo. Per la prima volta da giorni avevo paura; paura di morire. Un brivido risalì dietro la schiena e si mescolò al dolore sempre più violento, una pressione pulsante che mi batteva dentro la nuca. Non lo sopportavo più. Non sopportavo più avere le mani immobilizzate, il grigiore di quell’hangar e la crescente puzza di morte che emanavano quei tre corpi.
Lei, indifferente, sorrise piegando la testa. I suoi occhi erano sempre limpidi e il suo sorriso ora era privo di malizia. Era privo di qualsiasi traccia di ambiguità.
Si rialzò e si allontanò verso la gabbia. Aprì la porta di ferro. All’improvviso la sbatté con violenza. Sobbalzai per il rumore metallico, un’esplosione che rimbombò atroce nella mia testa. Chiusi gli occhi e mi morsi il labbro. Sentii il sapore metallico del sangue in bocca.
“Non hai capito?” urlò.
Riaprii gli occhi e la guardai, stupito. Cosa dovevo capire? Mi guardai intorno alla ricerca di un qualche indizio.
Si avvicinò a larghi passi verso di me. Si piantò a gambe larghe e mi fissò, con gli occhi spalancati.
“Allora! Davvero non hai capito?”
“Cosa dovrei capire?” le risposi cercando di controllare la mia crescente rabbia.
Cercò con lo sguardo i tre corpi. E compresi.
“Sei stata tu?”. La voce mi morì in gola. Un alveare di pensieri mi ronzò in testa. “Cosa avevamo fatto per arrivare a questo? Come avevamo potuto ridurre una ragazzina di pochi anni in una donna torturata e violata e poi in una assassina? Com’era potuto succedere senza che ce ne rendessimo conto. Come?”
Lei rise. Rise a bocca larga, spalancando la sua piccola bocca rosata e mostrando i suoi denti marci. Rise con un suono gorgogliante che mi fece rabbrividire.
“Sì, sono stata io! Li ho uccisi! Quei maledetti bastardi!” “Li avevo convinti a farmi uscire dalla gabbia per sgranchirmi le gambe. Avevo convinto il più giovane. Pensa, ieri sera aveva detto di amarmi! Non voleva più che scopassi con gli altri due.” “Gli avevo detto che non era colpa mia! Che non potevo farci nulla! Erano loro che mi costringevano!”
“…” respirai a fatica.
“E finsi di piangere! Gli chiesi di aiutarmi, di farmi uscire dalla gabbia! Li avrei uccisi! Oppure poteva farlo lui per me!”
La sua voce era stridula, un graffio acuto che mi trafiggeva le orecchie.
“Ti prego! Liberami!” le chiesi di nuovo.
“Sì. Gli dissi così. Con lo stesso tono. Bravo!” e rise di nuovo gettando la testa all’indietro.
“Vedi…”, e con la mano mi indicò un angolo lontano dell’hangar, ormai in penombra, “lì dietro avevo notato dei pali di acciaio. Alcuni erano più sottili e leggeri, con la punta sottile. Perfetti per infilare la carne!”. Strizzò l’occhio, ammiccante.
“Lui aveva paura. Tremava. Povero stupido!…” Si inginocchiò e si prese la testa fra le mani.
Rialzò la testa con uno scatto. I suoi occhi erano asciutti. Limpidi, ancora una volta.
“Poi, dopo essere tornati dalla caccia, mangiarono. Mi fecero scendere dalla gabbia e mi scoparono, a turno. Ormai non provavo più nulla. Non più dolore. Non più piacere. Nulla! Sai cos’è il nulla? Il vuoto?”
“Sì, lo so cosa vuol dire” le risposi a bassa voce.
“No! Non lo sai!” urlò ancora.
“Lo so.” mormorai a bassa voce.
“Lui piangeva mentre mi penetrava. Non lo guardai nemmeno negli occhi. Li chiusi per mostrargli il mio schifo.”
“Come hai fatto?” la interruppi.
“Gli altri due non sospettavano nulla. Mentre il ragazzo mi era sopra, si addormentarono. Cacciai quel coglione e corsi verso i pali. Ne presi due, erano leggeri. Mi avvicinai a quei bastardi, mentre il terzo si era nascosto la faccia tra le mani per non guardare.”
Chiusi gli occhi anche io. Non potevo guardare le sue labbra sottili mentre raccontavano quel massacro. Non potevo guardare i suoi occhi imperturbabili che avevano smarrito l’innocenza.
“Li infilai, uno dopo l’altro. E’ stato facile. Non credevo potesse essere così facile! Non si sono nemmeno svegliati.”
E sorrise, un lago di tranquillità in quei occhi verdi. Non c’erano tracce di sangue nelle sue parole, nella sua espressione. Non c’era pietà umana. Non c’era odio. Solo una violenta indifferenza.
“Poi uccisi anche il ragazzo.” E abbassò la testa, aggrottando la fronte.
“Perché?” Le parole uscirono dalla bocca prima che le potessi controllare.
“Perché non era diverso da loro.”