Ci siamo presi in giro. Il lockdown è durato più di due mesi. E’ stato un lungo periodo in cui la vita è stata sospesa. Ci siamo rinchiusi negli appartamenti per evitare la diffusione del contagio dal coronavirus e la conseguente crisi dei sistemi sanitari. Decine di migliaia di persone sono morte. Un’intera generazione è stata cancellata e insieme ad essa si è trasformata in cenere una memoria collettiva.
Dopodichè il capitale ha imposto la riapertura delle imprese e quindi la circolazione delle persone, sia pur dietro il paravento della prevenzione con poche regole: lavarsi spesso le mani, indossare le mascherine, il distanziamento sociale. Ossia le stesse regole a cui si sono invitate le persone prima del lockdown. Sono state inefficaci prima, probabilmente saranno inefficaci anche adesso.
Il messaggio però è stato chiaro: il pericolo è scampato. Sì, il virus circola, ma vedrete che è ormai indebolito e il fattore RO è inferiore ad 1. Bisogna essere sfigati per contagiarsi. Sulla stampa circolano notizie contrastanti, come le fotografie dei luoghi della movida nelle città italiane. Il giorno prima sono strapieni di giovani senza mascherina, il giorno dopo sono deserti.
Stasera sono dovuto andare nel centro della piccola città in cui vivo. Ho parcheggiato la macchina vicino alla Stazione Marittima, un tizio anziano dal passo claudicante e dalla forma di un uovo, si è avvicinato e ripetendo la litania “onore e patria” mi ha chiesto dei soldi. “Onore e patria”, che vuoi dire? “Onore e patria”, aiutiamoci. E tu come mi aiuti? Ti faccio parcheggiare. Grazie, ma io sono abbonato e posso parcheggiare. “Onore e patria”. Va via sbuffando.
Infilo lo zaino e vado verso il corso. Giro l’angolo e spalanco la bocca incredulo. Un muro di persone di fronte a me. Famiglie con bambini piccoli, anziani, nugoli di ragazze e ragazzi. Tutti che camminavano senza mascherina, senza nessun distanziamento, senza alcuna protezione di nessun tipo. Sono le stesse persone che fino a dieci giorni prima erano rintanate dentro le loro case. Cerco di attraversare la strada, ma è un’impresa difficile: una lunga fila di macchina, un serpente dai motori roventi, dalle ventole rumorose che sputano aria bollente, i finestrini abbassati, gli stessi sguardi annoiati di tre mesi prima. Mi guardo intorno: è tutto come prima. Esattamente uguale. Non è cambiato nulla. Alzo lo sguardo verso il cielo ma il colore è di un azzurro pieno, saturo, intenso come non lo era da tanto tempo. Non ci vorrà molto, qualche altro giorno e gli scarichi slaveranno quel colore, lo renderanno ingrigito e l’aria anziché profumare di fiori e di legno di sandalo tornerà a puzzare di sostanze chimiche e di scarichi abusivi.
Peccato. Avevamo una grande occasione per cambiare il nostro stile di vita, per renderlo più compatibile con la difesa dell’ambiente, con la ricerca di un briciolo di silenzio e di rallentamento, con la ricerca della sostanza che abbattesse il muro di cartongesso luccicante che ci eravamo costruiti alle nostre spalle. Preferiamo ritornare a quella finzione di cartone che si abbatterà presto e mostrerà il cumulo di macerie che ci siamo lasciati alle spalle.
Avevamo una opportunità. Aveva ragione Guccini: la gente non cambia, piuttosto dimentica. E’ quello che è già accaduto. La gente ha dimenticato. Ma stavolta c’è un probema: il Covid 19 è acnora in giro, circola. Non si potrà fare finta di nulla a lungo. E se dovesse tornare…