Una luce opalescente filtrava dalle imposte. Ho guardato l’orologio. Erano le sei del mattino ed era domenica. Ho cercato nella mia testa dei nomi. Non li ho trovati. Il panico mi ha assalito. Quei nomi erano le mie radici, il mio passato e li avevo smarriti. Ho cercato di rintracciarli usando immagini che mi avvicinassero ma ne ho ricordati solo un paio. Gli altri restavano sommersi nella sabbia degli ingranaggi mentali che non funzionavano bene, erano secchi perché poco usati. E io mi sentivo smarrito, un minuto dopo l’altro. Mi sono alzato, ho bevuto un bicchiere d’acqua fresca, senza bolle artificiali. Ho deciso di non lavarmi, di prepararmi un caffè caldo. Ho preparato la moka, ho acceso il fuoco, ho tirato fuori dal frigorifero la marmellata di ciliege. Ho osservato la densità un po’ liquida e scura dentro il barattolo di vetro. Ho preso il solito biscotto e mezzo dal pacco dentro la dispensa. Li ho posati sul tavolo e ho guardato il cielo grigio chiaro attraverso la finestra. Ho spalancato gli infissi, ho socchiuso gli occhi e ho inspirato l’aria fredda e umida del mattino. Mi sono soffermato ad osservare la palla di zinco cromato in cima alla canna fumaria del camino di fronte. Era immobile, un evento raro in questa città perennemente battuta dal vento.
All’improvviso un rumore di tuono e di pioggia mi ha sorpreso. Il cielo era coperto ma non dava segnali di pioggia. Un attimo ed è diventato nero, scosso da un’onda immensa. Era un battito di ali moltiplicato per milioni, come una furiosa gragnuola di acqua che cadeva impetuosa dal cielo: uno stormo immenso di storni. Iniziai a contare i secondi ma la massa di uccelli non si digradava, non smarriva la sua immensa maestosità. Solo dopo alcune decine di scansioni temporali, il cielo ricominciò a schiarirsi e l’onda sgocciolò via gli ultimi uccelli. L’aria si gonfiò, si ripulì nel silenzio del primo mattino e ne percepii il sospiro di sollievo.
La caffettiera borbottò il liquido caldo e nero. Presi la tazzina bianca, con cucchiaino lasciai cadere un po’ di zucchero grezzo e versai il caffè.
Mentre la portai al tavolo, compresi che dovevo fermare lo smarrimento della memoria. Mi guardai intorno, presi due pezzi di carta e individuai una penna che afferrai quasi d’impeto.
Su un pezzo la catena paterna, sull’altro quella materna. Iniziai a scrivere, con timore prima e poi con rabbia i nomi che ricordavo, dove il vuoto non si riempiva scrissi un punto interrogativo con una tale forza che rischiai di lacerare la carta. A seguire ricostruii i nomi dei figli, i miei cugini molti dei quali avrò visto un paio di volte quando ero un bambino. E dentro di me giustificai con un mezzo sorriso il vuoto di quei nomi così estranei. Almeno in quel caso non era colpa mia. Forse.
Mi fermai, agitato, dopo aver compilato i due fogli. C’erano alcuni punti interrogativi. Troppi.
Sospirai. Presi il coltello, svitai il coperchio del barattolo di marmellata e infilai la punta nella confettura. La spalmai con attenzione sul biscotto a forma di ciambella che avevo spezzato a metà. Masticai lentamente e nella bocca si mescolava il sapore dolce delle ciliege con quello quasi neutro dei biscotti. Una mescola perfetta. Presi la tazzina e assaporai il caffè bollente che mise in equilibrio i sapori dalle intensità differenti.
Il concentrarmi sul masticare e sorseggiare mi scaricò la mente dai pensieri impanicati. La memoria lentamente tornò con una lenta irrorazione del sangue e dell’ossigeno nella mia testa, in quella zona nascosta in cui si conserva la memoria della vita vissuta. Presi la penna e uno dopo l’altro cancellai il punto interrogativo e scrissi i nomi mancanti.
Osservai i due foglietti e ora tutti i campi erano stati compilati correttamente. I nomi erano lì, vergati da una penna dall’inchiostro nero un po’ scarico, e i tasselli rispondevano ad un volto, quasi tutti molto amati, e al sapore di ricordi antichi che sentivo le mie fondamenta.
Finalmente inspirai a fondo, scossi con un lento movimento circolare della mano la tazzina e bevvi il residuo ancora caldo.
Un lento rumore di pioggia riempì il cielo che si oscurò rapidamente. Gli storni stavano passando nuovamente nel cielo sopra di me.