Uno strano destino

Quando arrivò nel piccolo borgo toscano era ormai sera, Abbassò il finestrino per lasciar entrare nell’abitacolo il profumo di erba e di alberi. Inspirò a fondo e chiuse gli occhi per un attimo. Fermò la macchina all’ingresso del paese, sotto una quercia dalle fronde ampie. Lasciò il motore acceso e prese il Block notes con gli appunti che aveva trascritto. Poi prese lo smartphone e con un doppio tap aprì le mappe di Google. Digitò il nome della via e attese il risultato. Inserì la richiesta delle indicazioni per arrivare all’indirizzo. Avviò il tragitto e la voce femminile dell’assistente Google gli indicò il percorso da seguire. Inserì la marcia e ripartì. Doveva percorrere ancora poco più di un chilometro. Durante il percorso si guardò intorno: le strade erano deserte, non c’erano macchine lungo la via e solo qualche persona camminava veloce sui lati delle strade, la testa bassa e le mascherine tirate sul naso e la bocca. Era un borgo medievale e quindi non c’era traccia di marciapiedi, le strade erano lastricate di pietre laviche. La serata era quieta, non c’era vento e il cielo, ormai nero, pulsava di una luminosità gelida. A parte il ronzio tranquillizzante del motore dell’auto non percepiva nessun rumore. L’uomo si sentiva stanco. Aveva fatto un lungo viaggio per arrivare fino a lì. Era partito all’alba e aveva viaggiato per poco più di otto ore percorrendo il lungo serpente di asfalto delle autostrade. Si era fermato solo un paio di volte per bere un caffè e andare in bagno, stando ben attento a igienizzarsi le mani prima di rientrare nella macchina.

Ora, finalmente, era lì. L’assistente gli indicò la svolta ed entrò nella strada che aveva appuntato sul taccuino. Quell’indirizzo che per tanti mesi aveva sognato, ambito e che aveva rappresentato l’orizzonte finale di quella orribile pandemia che aveva stritolato la sua vita, come quella di milioni di persone. Lei gliel’aveva scritto in un messaggio all’improvviso, senza nessun riferimento. E l’uomo, senza commentare, lo trascrisse subito, prima che per qualsiasi motivo fosse cancellato.

Rallentò, voleva assaporare con lentezza quegli ultimi metri. Inspirò a fondo cercando di placare la tensione e l’ansia. La strada era più ampia di come se l’era immaginata e di come gli era apparsa su Google StreetView. In fondo al rettilineo vide la salita che portava ai sentieri che lei ogni giorno percorreva nelle sue sedute di allenamento. Quante volte aveva immaginato di prendere quel sentiero con lei, mano nella mano, per poi lasciarsi e iniziare a correre, il vento sul viso e la gioia di poter finalmente percorrere quel selciato in mezzo ai boschi.

Percorse gli ultimi metri lentamente, l’assistente lo avvisò che la destinazione era raggiunta. Parcheggiò la macchina di fianco ad un piccolo parco, il cui cancello di accesso verde scuro era chiuso con una catena e sigillato da un grosso lucchetto di metallo grigio. Osservò gli alberi, alti e fitti. La macchina era immersa nel buio coperto dai rami delle querce e degli abeti. Girò la testa e vide la casa. Era lì, di fronte a lui. Ora era realtà, esisteva, aveva una consistenza tridimensionale.

La osservò con calma. Era una piccola palazzina composta da piano terra e primo piano. Lei abitava al piano terra, un piccolo portoncino di legno scuro era l’ingresso. Ai lati due finestre chiuse da scuri doppi color verde, come il cancello del parco.

In una delle due finestre gli scuri erano aperti e la luce nella stanza accesa. L’uomo sussultò, dunque lei era lì, dentro la casa. Si chiese se quella fosse la stanza da letto dove lei si era fotografa centinaia di volte. Prese il cellulare, avviò la app dove conservava, in un cartella con il suo nome e criptata, la raccolta di tutte le foto che lei gli aveva inviato nel tempo. Ne guardò alcune e vide gli infissi verdi accostati, dietro la tenda grigia. Sì, probabilmente lei era lì dentro e si stava preparando per andare a letto. Il cuore dell’uomo accelerò.

Cosa era meglio fare? Mandarle un messaggio oppure citofonare? Immaginò la sua sorpresa, la gioia incontrollata nel vederlo lì, davanti a lei, in carne ed ossa. Finalmente sarebbe stato un corpo da abbracciare, stringere, baciare. Immaginò la testa di lei sulla sua spalla, poter finalmente inspirare il profumo dei suoi capelli, conoscerlo.

L’uomo scese dall’auto. Si stiracchiò i muscoli rattrappiti dal viaggio. All’arrivo si era fermato nell’albergo prenotato in una cittadina lì vicino. Si era fermato il tempo di accreditarsi, fare una doccia e mangiare un boccone. Si era poi rimesso in macchina perché aveva deciso che non voleva attendere l’appuntamento che si erano dati per la mattina dopo. Lui voleva vedere dove lei abitasse. Lui voleva vederla, gustare il suo viso sorpreso nel trovarselo davanti. Durante il viaggio aveva pensato molto a quel momento. Era stato l’obiettivo per cui aveva superato la stanchezza.

Chiuse con un clic l’auto e si avviò verso il portone della casa. Guardò all’interno della stanza illuminata. Le tende erano chiuse. Le riconobbe e sorrise. Lì dietro c’era il letto dove lei dormiva e dove un giorno, lo sperava, avrebbero fatto l’amore. Pensò al suo corpo che conosceva nella dimensione bidimensionale delle foto. Fra poco l’avrebbe avuto di fronte a sé, avrebbe avuto densità e consistenza. Alzò gli occhi al cielo e rimase stupito dalla quantità impressionante di stelle bianche nel cielo. Intorno era buio, in fondo intuì le forme delle pendici delle montagne boscose. Il silenzio era totale, percepì solo il rumore delle foglie degli alberi smosse dalla brezza serale. L’aria si stava rapidamente raffreddando.

Si scosse e capì che era arrivato il momento. Si mosse deciso verso il portone. Dietro la tenda all’improvviso vide la figura di una persona. Era lei. Sorrise. Ne vide leggermente sfumate le forme perché era di profilo. Ebbe l’impressione che fosse più bassa di come se l’era immaginata. Guardò il profilo del viso, il ciuffo di capelli, la forma del seno, più piena. Si fermò ad osservarla, incuriosito e felice di quell’attimo. Gli sembrò un regalo inaspettato, una parentesi di avvicinamento a lei. Dopo le foto, la voce, ora aveva di fronte a sé la sua sagoma e fra qualche secondo l’avrebbe stretta a sé. La sagoma era immobile, come se guardasse qualcosa in un punto della stanza.

Lui si fermò e aspettò, fu come una sensazione oscura che l’aveva bloccato. Poi comparve un’altra sagoma, più alta di lei. Era una figura mschile, sembrava senza capelli e dalla pancia prominente. Una sensazione di gelo gli corse dietro la schiena.

L’altro uomo si avvicinò a lei. La prese per i fianchi e la baciò. Dopo qualche lungo secondo le sagome si abbassarono e scomparvero alla vista. L’uomo conosceva la struttura della stanza e comprese subito ciò che stava accadendo.

Restò immobile ad osservare quella finestra illuminata.

Era rimasto raggelato. Non aveva pensato in quei mesi che lei potesse avere un altro uomo.

All’improvviso la sagoma della donna riapparve dietro la tenda. La scostò. L’uomo si spostò rapidamente per non essere visto. La donna aprì la finestra, il suo viso era in ombra, continuava ad essere una sagoma. L’uomo osservò, come al rallentatore, i gesti della donna che richiuse gli scuri. Poi non vide più nulla, se non il legno verde scuro dell’infisso ormai chiuso. Lei era scomparsa alla sua vista. Era tornata ad essere una figura bidimensionale. Aveva potuto però vedere i movimenti, sia pure per qualche secondo.

L’uomo rimase immobile. I pensieri erano scivolati via, scomparsi come la nebbia che al mattino si alza dalle montagne per poi dileguarsi, sciolta nell’aria fragile.

Sospirò e si incamminò verso il portoncino d’ingresso della palazzina. Vide che all’esterno erano attaccate al muro in una fila ordinata, le cassette per la posta. Si avvicinò e lesse i nomi sulle targhette di vetro. Vide il cognome della donna. Con le mani rovistò nello zainetto che aveva poggiato su una spalla e ne tirò fuori una piccola busta. Prese il taccuino e ne staccò un foglio. Scrisse qualche parola sul pezzo di carta e lo firmò. Lo infilò nella busta. Poi lentamente, forse con una turbata indecisione, staccò dall’orecchio il suo orecchino, una piccola pallina dorata, e lo infilò nella busta, insieme al pezzo di carta. Inserì la busta nella cassetta della posta della donna.

Si girò e andò via. Una lacrima gli scese sulla guancia, l’espressione del viso contratta, le mascelle serrate per non urlare. La disperazione si irradiò nel corpo insieme alla pace che segue sempre una sconfitta cocente.

L’uomo andò verso la macchina, la aprì con uno scatto, salì, mise in moto e accelerando andò via.

Non si accorse, gli occhi velati dalla rabbia e dalle lacrime, che dietro gli scuri c’era sempre l’ombra della donna. L’ombra seguì il suo uomo con gli occhi annebbiati dalle lacrime che le colavano sul viso bollenti e salate.

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